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La strategia della prevenzione della sicurezza sul lavoro. Le responsabilita' e le procedure dell’analisi dei rischi [2/2]

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Approfondimento

08/05/2007

L’intervento del dott. Bruno Giordano, Magistrato del Tribunale di Milano, a Exposicuramente. Tra i temi affrontati: valutazione del rischio, responsabilità organizzativa, responsabilità dei RSPP, novità della Finanziaria 2007.

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Nel numero 1703  del nostro quotidiano abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervento dott. Bruno Giordano, Magistrato del Tribunale di Milano in occasione del convegno “La strategia della prevenzione della sicurezza sul lavoro. Le responsabilità e le procedure dell’analisi dei rischi”.

Il convegno si è svolto giovedì 3 maggio in occasione di ExpoSicuramente.

Pubblichiamo oggi alcuni stralci della seconda parte dell’intervento del dott. Giordano.

“Vi è un ulteriore profilo che vorrei segnalare che non è una nostra intuizione, ma è una novità della Finanziaria 2007.
La Finanziaria 2007 […] ha introdotto una riforma rivoluzionaria dell’art. 7 del D.Lgs. 626/94 in materia di appalti, e l’ha introdotta ampliando gli obblighi del datore di lavoro all’intero ciclo produttivo. Questa novità […] è scritta male […] e soprattutto non è facile da applicare.

Prima di tutto cerchiamo di capire perché c’ è e perché è stata introdotta.
L’art. 7 del D.Lgs. 626/94  [...] impone l’obbligo al datore di lavoro che all’interno della propria azienda (e oggi anche nell’unita produttiva) commissiona un appalto [...], di coordinarsi e di cooperare con l’altro datore di lavoro ospitato affinché i rischi non si moltiplichino.

Affinché il rischio che ho io all’interno di questo padiglione e il rischio che mi tu porti per fare un certo lavoro o per gestire il servizio di pulizia all’interno di questo  non si sommino e non si moltiplichino. Questa è l’intuizione che nasce in alcune direttive comunitarie dove si è studiato, [….] che la maggior parte degli infortuni sorgono per via della sinergia dei rischi (Ciò è scritto espressamente nel prologo della direttiva cantieri). Io porto il rischio 1, tu porti il rischio 1, ma se lavoriamo insieme non portiamo il rischio 2, ma il rischio 3 o il rischio5 a seconda di questa moltiplicazione, perché i tuoi dipendenti non sanno dei miei rischi e i miei dipendenti non sanno dei tuoi. Questo crea un corto circuito che, detto in modo tecnico, moltiplica il rischio. L’art. 7 è stato descritto perché questa moltiplicazione dei rischi venga prevenuta attraverso la cooperazione ed il coordinamento.

La Finanziaria ha allargato questo obbligo parlando di un obbligo che riguarda non solo l’attività che viene prodotta all’interno dell’azienda, lo cito testualmente, “nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima.”
Cioè l’ambito non è più l’ambito topografico della mia azienda, di questo padiglione, di questo capannone, di questo padiglione, ma l’ambito è diventato un ambito produttivo. Ovunque coinvolgo il mio ciclo produttivo io ho questo obbligo di mettermi d’accordo con qualcun altro. Allora qual è la rivoluzione? Quella che l’outsourcing non è più uno strumento di evasione degli obblighi in materia di sicurezza. […]
Dare lavoro all’esterno non vuol dire fregarsene dell’insicurezza con la quale viene realizzato.
[…]
Dal 1° gennaio 2007 […] gli obblighi di cooperazione e coordinamento del datore di lavoro vanno ad assorbire anche tutto ciò […] che comunque rientra nell’ambito  del ciclo produttivo.
Il confine non è più, quindi la mia azienda, ma la mia attività produttiva.
In ciò rientra il concetto di organizzazione; perché comunque anche se l’attività produttiva la faccio fare all’esterno ma sempre rientra nella mia attività produttiva, anche se la dislocazione è in un certo modo topograficamente fuori delle mie mura di operatività ma è sempre una cosa che io ho organizzato; l’ho dislocata ma l’ho organizzata in qualche modo.
Qui c’è la conferma normativa che io, datore di lavoro, se organizzo male e, se quindi non coopero e non coordino, sono in colpa. Ecco la colpa di organizzazione, che è la colpa di come io organizzo il mio ciclo produttivo […].
Per altro la stessa norma, ma questo non è oggetto della riunione di oggi, ha introdotto l’ultimo comma che rende responsabile il committente anche della evasione dei contributi previdenziali e assicurativi. [...]

Ci sono dei problemi operativi che questa norma ci porrà, ma questa è una nuova ulteriore frontiera della sicurezza, e cioè cosa si intenda per intero ciclo produttivo. Nell’ambito di una impresa che produce le penne o una scatoletta possiamo delimitare il ciclo produttivo, ma io mi chiedo quale sia il ciclo produttivo per esempio di un istituto scolastico che dà all’esterno l’appalto per il servizio mensa?
Cosa produce l’istituto scolastico, chiederei a chi ha scritto questa norma? Il mio ufficio, il Palazzo di giustizia, ha un ciclo produttivo, ma quel è il ciclo produttivo, cosa produco io? Sentenze, detenuti, divorzi, chiederei a chi ha scritto questa norma? Il palazzo di giustizia ha servizi esterni, come il servizio di consulenza informatica, il servizio di assistenza alle tossicodipendenze, il servizio ambulanza. Tutto questo è dato in appalto dal Palazzo di giustizia, ma come si fa a delimitare il ciclo produttivo […]?
Qual è il ciclo produttivo di un Comune? […].
Qual è il ciclo produttivo di un ospedale? L’ospedale produce? L’ospedale è un servizio, come posso delimitare il ciclo produttivo?
[…]

Un altro dei profili che in questi anni è emerso e che […] partì sempre dalla sentenza Galeazzi, è quello della responsabilità del RSPP. […] Per anni si diceva che l’RSPP, cioè il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, a dispetto del nome “ responsabile”, era l’unico non responsabile, perché nel D.Lgs. 626\94 non c’è una sanzione prevista per l’RSPP.
Questo era un argomento retorico, ma non era un argomento vero. Innanzitutto perché l’RSPP non è definito “responsabile della sicurezza” (di tutto quello che avviene in materia di sicurezza), ma è il responsabile del servizio prevenzione e protezione, cioè il capo di un servizio, più o meno grande e più o meno strutturato, cioè colui che porta il peso di portare avanti il servizio di prevenzione protezione.
Ma nessuno può definirsi nella società moderna un “irresponsabile” sul piano penale, cioè che può combinare quello che vuole e che non ha nessuna responsabilità penale[ …]
Quel processo mise in luce la responsabilità del RSPP che è stata confermata poi nei vari gradi di giudizio, fino in Cassazione, e ripetuta oggi in moltissime altre sentenze.
Cioè i compiti che l’RSPP ha sono i compiti che attribuicono a questo soggetto e al servizio da lui presieduto la funzione di studiare la sicurezza, di elaborare il documento di valutazione del rischio, di studiare le misure, di proporre la formazione e l’informazione.
In pratica è “l’ufficio studi della sicurezza” in quel luogo di lavoro.
Tant’è che la legge consente in genere, anche se alcuni casi è vietato, che questo servizio sia esterno se all’interno non ci sono le risorse possibili e sufficienti.
Ma questo servizio, proprio perché produce la valutazione del rischio e […] studia le misure per contrastare questo rischio e le misure per migliorare nel tempo la sicurezza in quel luogo di lavoro (lettera c dell’art. 4 del D.Lgs. 626 comma 2 ), è l’istituto che di fatto fotografa la sicurezza (e fotografa anche l’insicurezza) di quel luogo di lavoro. Fotografia che poi passa al datore di lavoro che la sottoscrive. Il datore di lavoro non è obbligato a sottoscriverla, può anche non sottoscriverla, la può respingere nel caso non corrisponda alla realtà, se è elusiva o insufficiente.

La giurisprudenza ha considerato che la valutazione del rischio insufficiente, da chiunque preparata, corrisponde a una valutazione del rischio inesistente, perché quando fotografi una parte del rischio non lo hai fotografato tutto, quindi hai lasciato un rischio non valutato.
[…]
Voglio sapere com’è tutto il rischio, solo quella è valutazione il rischio.  La valutazione di mezzo rischio, dell’80% del rischio, è parziale, quindi insufficiente, quindi inesistente: è come se tu non l’avessi fatta totalmente. Un rischio studiato e fotografato parzialmente è un rischio combattuto parzialmente e allora non è una valutazione del rischio.
Inoltre, a questo proposito, il servizio di prevenzione e protezione, nel momento in cui sottopone al datore di lavoro la sua valutazione del rischio e questa dovesse essere insufficiente, parziale, inefficiente e quindi inesistente, è vero che per questa non c’è una sanzione diretta (non c’è una contravvenzione prevista dal D.Lgs. 626/94), ma […] va a minare la piramide della sicurezza.
Cioè se il datore di lavoro volendo o nolendo, consapevolmente o inconsapevolmente, per culpa in eligendo o per culpa in vigilando, sottoscrive quella valutazione del rischio (che è la base della formazione e dell’informazione, della delega, dei compiti delegati, dei compiti di ispezione che vengono svolti dagli organi di vigilanza ab externo o dall’interno, della sorveglianza sanitaria da parte dal medico competente, ecc…) viene tutto falsato.
Se la base, le fondamenta sono false, non sono pienamente veritiere o sono addirittura inesistenti, non può che costruirsi una sicurezza falsa, inesistente o comunque insufficiente.

Tutta la strage del Galeazzi nasce da questo, da un mancato studio vero della sicurezza con tutta una serie di altre colpe che si aggiungono anche autonomamente, non sono solo il prodotto della mancata valutazione del rischio.
L’Rssp che non svolge bene il suo compito, per questo non è sanzionato direttamente (non c’è una contravvenzione), ma se svolgendo male il suo compito egli si pone come “conditio sine qua no” di un evento, una lesione, di un disastro colposo, perché sorge una insicurezza che fa camminare quel luogo di lavoro in modo insicuro, egli ha dato un contributo causale colposo e risponderà di questo.
[…].

Ad esempio se vado dal meccanico per fare aggiustare i freni e il meccanico non li aggiusta e ciò provoca un incidente, non c’è una norma che dice: “il meccanico che non aggiusta bene i freni va in galera con questa pena”, ma è chiaro che nell’ambito di quel rapporto professionale io ti ho dato un mandato, tu l’hai svolto male e io ne ho subito un danno. Tu risponderai delle mie lesioni colpose.
Questo è il principio della colpa, con il principio della colpa professionale in genere, e, anche se non della colpa professionale,  della colpa generica comunque.
In questo caso non abbiamo solo una colpa professionale (perché l’RSPP svolge una professione, come l’anestesista in sala operatoria , o il meccanico in officina), abbiamo una colpa specifica: cioè perché abbiamo gli articoli 8 e, soprattutto, 9 del D.Lgs. 626/94 che dicono all’RSPP che cosa deve fare.
Ci sono dei compiti, fra cui alla lettera a) e alla lettera b) del 1° comma dell’art. 9: lo studio dei rischi presenti e delle misure al fine di sottoporle al datore di lavoro.

E viceversa questo non esclude la responsabilità del datore di lavoro perché sia l’art. 9 che l’art.4 del D.Lgs. 626/94 impongono al datore di lavoro di nominare l’RSPP, di sceglierlo, quindi c’è comunque una culpa in eligendo (se tu scegli una persona preparata o impreparata ne rispondi se hai scelto male) e di culpa in vigilano perché l’art. 9 dispone all’ultimo comma che il datore di lavoro utilizza il servizio, quindi […] è un obbligo previsto dalla legge.
Quindi la responsabilità dell’RSPP limitata a casi in cui la sua negligenza, la sua superficialità provochi un danno, […] è una responsabilità che sta nei principi.

 

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